Lun. Apr 28th, 2025
Giorgia Meloni

La pluralità di indizi costituisce una prova? La lettura dei fatti internazionali non è agevole e non si possono desumere indizi “univoci e concordanti” con la dovuta certezza. Fatta questa premessa, non è insensato parlare di un ritrovato protagonismo italiano nello scenario internazionale.

Ultimo tassello, in ordine di tempo: la vicepresidenza della Commissione europea affidata a Fitto. I lettori ricorderanno certamente che tanti profeti di sventura avevano commentato il mancato sostegno della Meloni alla candidatura della Von der Leyen (a Presidente della Commissione) come una grave iattura per l’Italia, la quale sarebbe stata certamente “punita” per tanto ardire ed esclusa dal consesso di “quelli che contano” in Europa. Non si teneva in considerazione il fatto che il voto di un gruppo parlamentare è cosa ben diversa e molto più effimera del ruolo istituzionale di un Paese fondatore del MEC prima, della CEE e dell’UE poi. Quei commenti celavano, in verità, l’atavica tendenza della sinistra a “esportare” le contese interne, ancorché a danno del sistema Paese. Al contempo sottovalutavano il dato politico più rilevante, in ragione del quale i nodi non potevano che venire al pettine: l’alleanza dei popolari con la sinistra socialista, verde-rossa, è innaturale e di corto respiro. Sulla politica dirigistica dell’UE della precedente legislatura si erano espressi gli elettori, bocciando l’utopia green, che impone di fare ciò che non si dovrebbe fare (p. es. cappotti termici delle case nelle aree meridionali) e non fare ciò che si dovrebbe fare (p. es. argini dei fiumi), i cui costi ben conoscono la popolazione emiliano-romagnola e valenciana. È vero che l’architettura istituzionale dell’Unione è parzialmente sconnessa dal risultato elettorale, ma gli “umori” dell’elettorato, sia pure indirettamente, incidono in qualche modo. Sono indici di un malessere che affonda le sue radici nell’incompatibilità della politica di libero mercato e difesa della proprietà, nel DNA dei popolari, con la politica di pianificazione, invasiva della sfera privata, nel DNA dei socialisti. Ebbene, l’alleanza scricchiola e la conformazione della maggioranza elettorale a sostegno della vicepresidenza di Fitto ne è la dimostrazione più lampante.

Ma non basta. Quest’ultimo tassello si aggiunge ai precedenti. L’elezione di Trump rappresenta un fatto nuovo di grande portata, assolutamente inatteso dall’establishment dell’Unione a trazione franco-tedesca. Cambia il paradigma nelle relazioni USA-Europa e mutano le “corsie preferenziali”. Non è irrealistico pensare che ne possa sortire un asse Usa-Italia, basato su un’affinità ideale impossibile tra l’amministrazione Trump e la leadership francese e tedesca, di orientamento politico ben diverso. Un indizio in questo senso forse si può ravvisare nel particolare interesse di Elon Musk per le vicende italiane, dimostrato in tanti modi, non tutti ortodossi, ma pur sempre significativi. D’altronde, il premier tedesco è in piena crisi e forse a un passo dal tracollo, mentre il novello Bonaparte deve fare i conti con una maggioranza parlamentare molto incerta. Si aprono perciò per un concreto protagonismo italiano grandi spazi di manovra per la premier ben salda a Palazzo Chigi. Di ciò si sono avveduti autorevoli commentatori stranieri, non “simpatizzanti” e non inclini all’adulazione.

L’editorialista Luc de Barochez del settimanale Le Point ha firmato un articolo dal titolo: “Giorgia Meloni, la risorsa europea dinanzi a Trump”. A suo giudizio, già oggi il capo di governo italiano, come una sorta di “Biancaneve tra i sette nani”, riesce ad esercitare un ruolo di primazia nel gruppo dei leader europei, malconci e azzoppati nelle relazioni politiche interne, spaesati dal trionfo di Trump nelle relazioni esterne. Non è molto dissimile l’opinione di Peter Rough e Daniel Kochis, autori di un’editoriale del Wall Street Journal intitolato “Trump e Meloni un’amicizia promettente”. I due giornalisti ritengono probabile la nascita di un asse privilegiato USA-Italia dello stesso tipo di quello che a suo tempo caratterizzò i rapporti Reagan-Thatcher. Ovviamente gli “indizi” menzionati non provano alcunché, autorizzano tuttavia qualche speranza sul ritrovato protagonismo italiano.