Lun. Apr 28th, 2025
Il grande esodo

L’emigrazione siciliana, verso l’Argentina e gli Stati Uniti tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento è una storia di speranza, sacrificio e coraggio. Per molti, il viaggio verso il Nuovo Mondo non era una scelta, ma un disperato tentativo di sfuggire alla miseria. Uomini e donne stipati come merci nei fondi delle navi, credendo alle promesse di un futuro migliore.

Il grande Esodo, un fenomeno di notevoli dimensioni, quando partire significava lasciare tutto: casa, famiglia, amici. Ogni addio al porto era un taglio profondo, un saluto soffocato tra le braccia di madri e padri con la consapevolezza che forse non si sarebbero mai più rivisti. Si imbarcavano da Napoli e Palermo, sperando che il viaggio oltre l’Atlantico fosse la chiave per un futuro migliore.

Complice la Sicilia di fine Ottocento devastata da povertà e fame. Un Paese che aveva raggiunto l’unità da soli vent’anni, con 30 milioni di abitanti, dove il 68% era analfabeta e l’aspettativa di vita era di appena 35 anni. Un Italia teatro di un’acuta e sanguinosa crisi politico-istituzionale gravata da una situazione difficile e da un quadro sociale estremamente instabile. In alcune zone rurali, la vita si svolgeva in tuguri fumosi e privi di luce, dove uomini, animali e bambini condividevano gli stessi spazi. Un Paese povero, dove la terra era avara e le risorse scarse che costrinse molti genitori a vendere i propri figli per 100 lire all’anno, poco meno di 400 euro di oggi, affinché potessero lavorare all’estero e inviare denaro a casa.

La traversata per giungere al nuovo mondo era spesso un inferno galleggiante. Le condizioni a bordo erano spaventose: passeggeri ammassati in cuccette di legno, spazi angusti, senza ventilazione né igiene. Paura e speranza si mescolavano mentre le navi solcavano il mare, gonfie di sogni e preoccupazioni. Molti soffrivano il mal di mare, altri venivano colpiti dalle malattie che si propagavano nelle stive, come morbillo e varicella. I bambini erano i più vulnerabili; nel 1896, su 137 morti a bordo dei piroscafi diretti in America, il 70% erano piccoli con meno di 5 anni.

Tra le storie di emigranti siciliani spicca quella di Salvatore Ferraro, un siciliano che nel 1911 lasciò Palermo con poche monete e il cuore carico di speranze. Dopo settimane di mare burrascoso, sbarcò a Buenos Aires, ma trovò una realtà dura: lavorava come bracciante nelle campagne argentine, con salari miseri e notti fredde passate su un pagliericcio. Le sue lettere a casa erano piene di parole di speranza, ma tra le righe emergeva la stanchezza di un uomo che lottava per non arrendersi.

Un’altra storia è quella della famiglia Greco di Agrigento. Decisero di partire nel 1907 dopo anni di fame e raccolti scarsi. A Ellis Island, la famiglia fu travolta dalla burocrazia. Maria, la madre, fu trattenuta perché sospettata di avere una malattia contagiosa e alla fine costretta a tornare in Italia con il figlio più piccolo, separata per sempre dal marito e dagli altri figli che riuscirono a entrare negli Stati Uniti. Una storia di cuori spezzati e separazioni che non potevano essere sanate.

Arrivare in America non significava trovare un’accoglienza calorosa. L’arrivo a Ellis Island era solo l’inizio di una dura realtà. Gli immigrati erano sottoposti a rigorosi controlli sanitari e legali, e molti venivano respinti. Gli italiani erano spesso visti con sospetto e disprezzo, chiamati con termini offensivi come “WAP” (without official papers) o “dago” un insulto particolarmente diretto agli italiani, associato a stereotipi negativi come la pigrizia, la violenza o la connessione con il crimine organizzato. Era un modo per sottolineare l’alterità degli immigrati, dipingendoli come stranieri indesiderati e inferiori rispetto alla popolazione di origine anglosassone. Giornali americani pubblicavano vignette razziste che li paragonavano a ratti.

Nonostante il clima ostile, i siciliani si adattarono. Nelle grandi città americane e argentine, come New York e Buenos Aires, crearono piccole “Sicilie” oltreoceano, continuando a parlare la loro lingua e a celebrare le loro tradizioni. Ma il loro cammino era tutt’altro che semplice: linciaggi, incendi e ostilità erano frequenti. L’episodio del linciaggio di 11 italiani a New Orleans nel 1891 ne è una tragica testimonianza. L’America non era sempre la terra promessa, ma un luogo dove anche solo sopravvivere era una sfida.

L’emigrazione siciliana verso le Americhe fu una delle migrazioni più dolorose della storia italiana. Fu una storia di addii strazianti, di sogni spezzati e di speranze ritrovate. Ma anche di coraggio e resilienza, di persone pronte a sacrificare tutto per offrire alle generazioni future una possibilità di un domani migliore. Ancora oggi, le comunità italo-argentine e italo-americane portano avanti l’eredità di quei sacrifici, ricordando le radici siciliane e celebrando il coraggio di chi ha avuto la forza di attraversare l’oceano per inseguire un sogno. Storie di migranti che approfondiremo nei prossimi articoli.

 

di Marfia Antonino